martedì 19 luglio 2016

Resti di un passato dannato - Parte II



Il rumore del portellone che si chiudeva e dei passi concitati che scendevano la scalinata d’ingresso attirò l’attenzione della famiglia. Senza che avesse messo piede giù dai gradini, Mark cominciò ad impartire ordini a tutti i presenti dicendo loro di radunare al più presto gli oggetti di maggior importanza e di prepararsi a partire. Poi si mosse velocemente verso la dispensa per preparare le scorte necessarie al loro sostentamento durante il lungo viaggio. Lara, inizialmente spaesata, si mise a seguirlo tempestandolo di domande che non ebbero la minima risposta, fino a quando il marito si girò e la prese saldamente per le spalle, rivolgendogli uno sguardo carico di determinazione.
«Ho bisogno che ti fidi di me.»
«Mi sono sempre fidata, ho convinto i nostri figli che le tue azioni ci hanno tenuti in vita tutti questi anni, ma adesso voglio sapere esattamente quello che sta succedendo. Vuoi che abbandoniamo la nostra casa, il rifugio in cui ci siamo sentiti protetti per più di due decenni?» disse lei.
L’uomo annuì lasciando cadere le braccia. «È proprio questo il problema, non siamo più al sicuro qui. Wendell ha scoperto il cadavere e ha cominciato a indagare, vuole trovare l’assassino. Non potrò più uscire in cerca di cibo, e se individueranno questo vecchio nascondiglio ci staneranno come topi. Non starò qui ad aspettare che succeda.»
Lara rimase senza parole, si portò le mani davanti alla bocca e iniziò a fare respiri sempre più profondi, come se tentasse di calmarsi.
«Ce la caveremo.» sentenziò Mark nel tentativo di tranquillizzarla.
Lei però scosse la testa. «No, no, no, no, no! Non è vero! Non ce la faremo! Moriremo tutti nel giro di una settimana!»
Il marito si affrettò a chiudere la porta della stanza per evitare che i figli potessero ascoltare le parole della madre, che di certo non avrebbero aiutato in quel momento.
«Silenzio!» esclamò poi.
La donna sobbalzò, e fu quasi come se si fosse ridestata da uno stato di trans. Il respiro divenne nuovamente regolare, e il fiume di parole smise di far vibrare le sue corde vocali. Con aria sconfitta si sedette a terra e si rannicchiò su sé stessa.
«Hai ragione, era una bugia, non ho la più pallida idea di come tutto ciò andrà a finire. Potremmo farcela per un’intera giornata e poi essere catturati e giustiziati dagli uomini che ci danno la caccia, o morire di fame entro due mesi, o di sete entro due settimane, o mangiati da un dannato animale mutato, se davvero esistessero. Ma tenteremo, per Paul, per Kevin, Per Thomas e per Helena. Loro guarderanno a noi con fiducia, e la nostra sicurezza sarà la loro sicurezza. Perciò anche se ti senti perduta, non lo darai a vedere e lo terrai unicamente per le nostre conversazioni. Va bene?» terminò Mark aspettandosi nient’altro che una reazione positiva.
«Posso contare su di te, Lara?» domandò ancora.
Prima impercettibilmente, poi con più vigore, la moglie annuì.
«Ottimo, non ho mai dubitato della tua forza d’animo. Ora sbrighiamoci, voglio andarmene al più presto.»
In meno di mezz'ora ogni membro della famiglia si trovava nell'ingresso accompagnato da un bagaglio più o meno grande da trasportare. Helena aveva infilato alla rinfusa alcuni vestiti in uno zaino che portava sulle spalle, Thomas aveva riempito il suo con libri e fumetti preferendo caricare il vestiario in un altro sacco. Paul e Kevin, oltre ai loro indumenti, tenevano a tracolla due fucili e altrettante pistole legate alla cintura, mentre Lara e Mark si erano occupati delle provviste e l’uomo si era fatto carico anche del resto dell’armamentario. Probabilmente solo lui poteva riuscire a muoversi con quell'enorme peso che gli gravava sulle spalle.
«Papà, c’è una cosa che devo dirti, e visto quello che sta succedendo mi sembra molto importante.» iniziò Thomas.
L’uomo si voltò verso di lui e lo incitò a proseguire con un cenno.
«Prima che tornaste, ero alla mia radio come al solito, ma a differenza delle altre volte sono riuscito a intercettare una voce. Un messaggio.»
«Un messaggio?»
«E cosa diceva?» chiesero all'unisono i due fratelli maggiori.
«Beh ecco, parlava di una comunità sicura che accoglie persone in difficoltà.»
Un completo silenzio calò nella stanza, seguito a breve distanza da urla di esultanza.
«È perfetto!» esclamò Kevin.
«Dobbiamo dirigerci subito lì. Quanto dista?» domandò Paul con la stessa esaltazione del fratello nella voce.
«Io non ne sono sicuro, ma… credo che possa essere molto distante da qui. Non ho un’idea ben precisa del luogo in cui viviamo, tuttavia la voce parlava della costa e di una certa… Husto credo abbia detto.»
«Houston. Si trova a circa novecento miglia da qui.» intervenne Mark pacato.
«Dannazione, è dall'altra parte del mondo!» si lamentò Kevin.
«E così ci sono altri sopravvissuti, non l’avrei mai pensato.» disse Mark rimuginando tra sé e sé. «Ottimo lavoro ragazzo, ci hai dato una meta. Ora sappiamo dove andare.»
Thomas non credette ai proprio occhi quando suo padre gli strinse la spalla in segno di approvazione. La sua stretta era forte come quella di una morsa, ma lui non avrebbe potuto essere più felice, così non riuscì a trattenersi dal comunicare i risultati del progetto a cui aveva lavorato. Frugò all'interno del suo zaino con concitazione e ne estrasse un apparecchio rettangolare delle dimensioni di un mattone. «Con questa radio portatile che sono riuscito a costruire potremo cercare di rintracciare altri messaggi o magari altre comunità di sopravvissuti mentre saremo in viaggio. Credo che potrebbe esserci utile.»
Mentre parlava notò che tutti lo osservavano con occhi diversi, avrebbe anche potuto credere che si trattasse di ammirazione. Cominciò a sentirsi in imbarazzo, si era comportato come un bambino in cerca di attenzioni.
«Sono fiero di te, Thomas.» disse suo padre.
È fiero di me, pensò. Com'era possibile, non l’aveva mai sentito usare quell'espressione, nemmeno per Paul.
«Sei un genio, Thomas!» si complimentò il fratello maggiore scompigliandogli i capelli.
La piccola Helena sollevò un pollice e riuscì a strappargli un sorriso. Lei non aveva mai dubitato delle sue capacità, e nonostante la giovane età era quella che più lo spronava a continuare a credere in sé stesso.
«Bene ragazzi, usciamo da qui.» disse Lara. Fu l’ultima a mettere piede fuori dalla botola, e seppure tutti si erano guardati indietro con un misto di tristezza e rassegnazione a quella che era stata la loro casa sin da quando erano nati, nessuno sentì la separazione come lei. Si stavano lasciando alle spalle uno stile di vita di serenità e sicurezza per imbracciarne uno fatto di ansie e paure. Sarebbe trascorso molto tempo prima che potessero di nuovo sedersi tutti insieme intorno a un tavolo e godersi una cena tranquilla.
«Andiamo mamma.» la chiamò la figlia tirandola per un braccio.

Faceva davvero caldo quel giorno nel deserto, il sole batteva forte e non concedeva un momento di tregua. Ciononostante il leader se ne stava a petto nudo appoggiato di schiena contro la superficie bollente di una roccia. Di carnagione scurissima per via della perenne abbronzatura, esibiva una nera capigliatura disordinata in netto contrasto con il viso glabro e pulito. Aveva tratti spigolosi e guance incavate che gli conferivano un’aria tetra, il tutto sottolineato da una lunga cicatrice che correva da un orecchio all'altro attraversandogli il collo. Non aveva un fisico muscoloso ed era anzi piuttosto gracile, ma nemmeno quel gigante alto due metri che correva nella sua direzione avrebbe osato opporglisi. L’uomo si arrestò proprio davanti a lui e attese che gli desse il permesso di parlare, cosa che fece con uno svogliato movimento della mano sinistra.
«Mio leader, ancora nessuna traccia dell’assassino.» esordì tentando di mantenere una voce ferma.
Wendell sbuffò annoiato. «Dove state cercando?»
L’uomo provò a rispondere ma il suo capo proseguì senza lasciargli il tempo di emettere un sospiro. «Vi ho detto che non è stato nessuno di quei bifolchi che abitano nelle mie case. Dovete guardare in posti nascosti, nelle grotte per esempio!»
«Sì, mio leader.»
Stupidi imbecilli, pensò Wendell. Aveva un maledetto esercito a disposizione, perché non erano ancora riusciti a portare quel criminale al suo cospetto? Decise che l’avrebbe prima obbligato a chiedere perdono per aver disobbedito alle leggi, dopodiché l’avrebbe fatto impiccare davanti a tutti gli abitanti di Wendelland. Sarebbe stato un monito per chiunque covasse rancori e facesse progetti di rivolta. Come aveva osato questo insulso umano infrangere le sue leggi sacre, macchiandosi del delitto di un suo simile senza un esplicito consenso? Alzando gli occhi, Wendell si rese conto che il suo sottoposto se ne stava ancora lì in piedi a fissarlo, attendendo che lo congedasse.
«Avete altre cinque ore. Oltre questo termine il fallimento non sarà più tollerato.»
«Sì, mio leader.» rispose l’uomo, prima di voltarsi e mettersi a correre, ben consapevole del significato che quella frase nascondeva.

Dopo quattro ore di cammino ininterrotto attraverso il deserto, Mark che guidava il gruppo avvistò una strada asfaltata in lontananza. Aumentò l’andatura per raggiungerla il più in fretta possibile, scatenando le proteste della figlia più piccola che aveva le gambe doloranti. Thomas la prese in braccio per risparmiarle la fatica di quell'ultimo tratto. Mark fu il primo ad appoggiare il piede su quel suolo artificiale. Dalla sua espressione quasi sempre indecifrabile traspariva una certa incredulità. Gli altri lo attorniarono in breve, guardando stupiti quella lastra nera che si estendeva per diversi chilometri.
«È davvero una strada?» domandò Lara.
«Cos'è una strada?» chiese Helena, che come i suoi fratelli non ne aveva mai vista una.
«Quella che vedi davanti a te. Serviva per collegare posti distanti.» rispose il padre, rivolgendo lo sguardo verso l’orizzonte, andando con la mente oltre lo spazio fisico, in un tempo che non c’era più.
«Perché mai sprecare tutto questo materiale quando si può benissimo camminare sulla terra?» disse invece Kevin.
Mark si voltò sospirando, una venatura di nostalgia nella voce. «Perché figli miei, queste strade non erano percorse da uomini a piedi, bensì da automobili. E prima che me lo chiediate, un’automobile è una sorta di… come posso farvelo capire… è una sorta di scatola metallica che si muove su delle ruote.»
I ragazzi lo fissarono come se stesse dicendo loro che potevano saltare e incominciare a volare.
«Capisco che per voi possa risultare quantomeno bizzarro, a pensarci adesso faccio fatica a crederci io stesso, eppure era così.» asserì, cercando conferma negli occhi della moglie, che annuì.
«Papà, non ci hai mai raccontato di com'era prima il mondo…» disse Helena, a metà tra una domanda e un’affermazione.
Gli altri tre non parlarono ma rimasero in attesa, chiaramente interessati alla risposta che non era mai stata data loro. Mark li guardò a uno a uno, studiando attentamente le loro espressioni curiose, bramosi di sapere perché erano costretti a vivere in quella landa desolata e senza leggi, consapevoli che non era sempre stato così.
«Helena, questo pianeta era sicuramente un posto migliore rispetto a come lo vedi oggi, tuttavia non era perfetto neanche prima. Anzi, a dirla tutta ci trovavamo sull'orlo del baratro, e tutto ciò che è servito per spingerci a caderci dentro è stato un leggerissimo soffio di vento. La situazione è degenerata con una velocità impressionante, non immaginavo potesse succedere, ho sempre pensato che non sarei vissuto abbastanza per godermi questa desolazione.» affermò sorridendo ironicamente. «Eppure eccomi qui, insieme a voi, in fuga da un assassino. E dopo aver resistito così a lungo non ho certo intenzione di arrendermi adesso. Questa strada è un vero colpo di fortuna, punta dritta verso est. La percorreremo fino a dove sarà possibile.»
Lara si asciugò una lacrima senza farsi vedere, a stento tratteneva il pianto. Ricordarsi di quei giorni, nonostante fossero trascorsi più di vent'anni, era per lei una sofferenza troppo grande da sopportare. Di nuovo.
«Ci siamo riposati abbastanza, in cammino.» ordinò Mark.
«Papà, sono stanchissima.» si lamentò Helena, che quasi non ce la faceva più a stare in piedi.
Il padre le si avvicinò, la sollevò oltre la testa e se la caricò in spalla senza emettere un verso. La bambina era contentissima, non aveva mai avuto esperienze del genere con suo padre, che non si era mai mostrato disinteressato, però al contempo non era solito esprimere il proprio affetto concretamente. Da quando erano partiti quella mattina era come se fosse cambiato, quasi come se si fosse risvegliato. Suonava strano dirlo in quella situazione, ma sembrava aver ritrovato la speranza.

Il sole era calato già da qualche ora quando Wendell raggiunse il luogo che i suoi uomini avevano individuato. Come aveva previsto si trovava in una cavità naturale ai piedi di un’alta formazione rocciosa. Proprio in quel momento alcune luci si muovevano al suo interno per ispezionarne ogni centimetro.
«Blind!» sbraitò l’Orco, soprannome che si era scelto lui stesso ma che non voleva fosse pronunciato in sua presenza.
«Sì, mio leader?» rispose avvicinandosi.
«Qual è la situazione?»
«Seguendo il suo suggerimento siamo riusciti a trovare questa caverna, all'interno della quale c’è un portellone incastonato nel suolo. Era ricoperto di sabbia e praticamente impossibile da vedere a meno che non lo si stesse cercando.» lo ragguagliò l’uomo, che era lo stesso di quella mattina.
«Siete riusciti a entrare?»
«Stiamo tentando di aprire il portellone.»
Wendell lo fissò con uno sguardo infuocato che lo fece arretrare. «Fate saltare in aria quella fottuta botola!»
«Non sappiamo se ci sia qualcuno dentro, mio le…»
«Pensi forse che questa sia un’operazione di salvataggio, Blind? Se non vi muovete provvederò io stesso a legarvi gli esplosivi addosso e a farvi saltare in aria.» terminò Wendell con una calma nella voce che fece impallidire l’uomo davanti a lui più di qualsiasi sfuriata.
«Agli ordini, mio leader.» disse Blind, mettendosi poi a correre verso l’apertura e impartendo ordini ai suoi sottoposti.
L’Orco si toccò la cicatrice che aveva ripreso a pulsare. Non smetteva mai, c’erano solo alcuni brevi intervalli, lunghi un paio di giorni, in cui si assopiva, per poi ricominciare senza sosta, alle volte anche per un mese intero. Non che gli importasse granché. Certo, gli causava una notevole quantità di dolore, ma oramai aveva imparato a conviverci. D’altro canto era un costante promemoria a ciò che aveva dovuto fare per ottenere la posizione che occupava adesso. Ricordava quel giorno come se quegli avvenimenti fossero accaduti pochi minuti prima. Il deposito di armi, lui che tentava di entrare, le due guardie che in un attimo gli erano saltate addosso, la prima, caduta dopo che lui l’aveva trafitta col suo stesso pugnale, la seconda che lo afferrava da dietro e gli apriva il collo come fosse stato un coniglio. Per pochi, brevi istanti la ferita era sembrata solo un taglio superficiale, in realtà era tenuta insieme da un lembo di pelle così sottile da lacerarsi al primo movimento. Tuttavia quel lasso di tempo era bastato a Wendell per scagliarsi sull'altro uomo, che non se lo aspettava minimamente credendo di averlo ucciso, e infilargli il pugnale dritto nel cuore. Poi se n’era semplicemente rimasto lì, steso a terra a dissanguarsi, convinto di aver sprecato la sua ultima occasione e in procinto di abbandonare il mondo terreno…
«Mio leader, siamo pronti, gli esplosivi sono posizionati.» lo informò Blind interrompendo il corso dei suoi pensieri.
«Scoperchiate quel buco.»
L’uomo annuì e urlò l’ordine agli incaricati. Un boato amplificato dalle pareti della caverna squarciò il relativo silenzio notturno, sollevando una ventata d’aria che buttò a terra più di una persona nelle vicinanze. Alcune fiammate canalizzate dalla cavità fuoriuscirono come fuoco dalla bocca di un drago, illuminando l’ambiente circostante. Uno degli individui che avevano piazzato le cariche fu incauto, posizionandosi troppo vicino all'esplosione, e il suo braccio venne investito dal torrente infuocato rimanendo completamente carbonizzato. Le urla che ne seguirono furono strazianti, con la vittima che si dimenava al suolo contorcendosi come un animale agonizzante. Subito due uomini gli si avvicinarono, sollevandolo e allontanandolo dalla zona delle operazioni, per potergli prestare soccorso.
Wendell sbuffò e scosse la testa in segno di disappunto. «Dopo amputategli il braccio.»
L’altro annuì. «Sarà fatto.»
«Blind, prendi cinque uomini con te e scendi in quella fossa.» ordinò l’Orco.
«Sì, mio leader.»
Con voce dura quasi a voler imitare il suo capo, quell'individuo alto due metri scelse cinque soldati armati di fucile e li guidò con sé all'interno della cavità. Una volta dentro accesero le torce presenti all'estremità delle loro armi e si avviarono verso la botola. Le pareti della grotta non mostravano nessun segno particolare, così come il terreno. Blind non poté fare a meno di complimentarsi mentalmente con il tizio che aveva scelto quella posizione per costruire il suo rifugio. Il portellone era stato sbalzato dallo scoppio, e giaceva deformato a pochi metri di distanza. Blind puntò la torcia verso la buia apertura circolare per ispezionare il sottosuolo, ma non vide nient’altro che scalini. Fece cenno ai suoi di avvicinarsi per dare un’occhiata a loro volta.
«Io andrò per primo, voi seguitemi ad uno ad uno e state pronti a coprirmi. Tutto chiaro?» sussurrò, annuendo soddisfatto quando gli altri cinque confermarono di aver capito.
Con cautela poggiò il piede destro sul primo gradino. Ne saggiò la resistenza con una leggera pressione e quando fu sicuro che la struttura avrebbe retto procedette con il passo successivo. Subito dietro di lui si accodò uno dei cinque soldati con il fucile spianato, pronto a far fuoco al primo movimento sospetto. Il rifugio era silenzioso, non si avvertiva il minimo rumore. Se davvero qualcuno se ne stava lì appostato nell'oscurità, doveva possedere una notevole abilità. Blind aveva quasi smesso di respirare, continuava a guardarsi a destra e a sinistra alla ricerca di un’ombra, un’interruzione nel fascio di luce che gli indicasse la posizione del nemico, tuttavia gli unici che sembravano turbare la tranquillità di quel luogo erano loro. Mancavano solo due scalini ormai, e i movimenti delle gambe per discenderli erano diventati automatici, l’attenzione completamente focalizzata su ciò che aveva di fronte. Talmente focalizzata che lo schiocco giunse appena alle sue orecchie, come quando pare di aver sentito un rumore nel momento in cui si è tra sonno e veglia, e non si è certi della reale concretezza del suono. Solamente nell'ultima frazione di secondo Blind comprese ciò che stava per accadere, il terrore non fece neanche in tempo a deformare i tratti del suo volto.
Una tremenda esplosione, innumerevoli volte più potente della prima, scosse la terra. Gli uomini all'esterno della cavità pensarono che si trattasse di un terremoto, fino a quando un nuovo getto di enormi fiamme roventi non ruggì nella notte. Molte persone si trovavano nelle vicinanze, ovviamente sicure che non ci sarebbero state altre detonazioni, e vennero irrimediabilmente investiti dall'ondata incandescente. Alcuni furono carbonizzati seduta stante, altri si accesero come delle torce inzuppate di olio, gridando e correndo all'impazzata finché la morte non sopraggiungeva per mettere fine alle loro indicibili sofferenze. Altri ancora furono più fortunati, rimediando solo qualche ustione o salvandosi del tutto. Parte della grotta crollò, rendendo quindi impossibile l’accesso a qualsiasi cosa fosse rimasta del rifugio. Wendell assistette alla scena alzando appena il sopracciglio per la sorpresa nel momento dello scoppio, per poi rimanere impassibile nei minuti successivi. Quando la situazione si fu leggermente calmata, anche se i numerosi morti e feriti rendevano difficile l’utilizzo di questa parola, un soldato armato si avvicinò all'Orco.
«Mio leader, le pareti della caverna sono crollate, non credo ci sia più alcuna possibilità di ispezionare il luogo.» disse.
Wendell lo guardò in maniera strana, come se stesse affermando cose senza senso. Poi un ampio sorriso gli comparve in volto, quasi a fare il paio con la lunga cicatrice pochi centimetri più in basso, e una nota di divertimento e follia gli colorò la voce. L’uomo di fronte a lui arretrò spaventato sotto quello sguardo da squilibrato.
«Oh, non è più necessaria nessuna ispezione. Questo figlio di puttana è furbo, molto, molto furbo. Ha riempito il rifugio di cariche esplosive trasformandolo in un fottuto candelotto di dinamite, sperando di fare saltare in aria me probabilmente. Devo ammettere che ho avuto la tentazione di scendere per primo, ma ci ho ripensato proprio all'ultimo momento. Immagino di essermi portato a casa questo turno dunque.» concluse prima di scoppiare a ridere, ilarità che si protrasse per più di mezzo minuto.
Il soldato rimase in attesa, gli occhi ricolmi di paura, tuttavia non si azzardava a muoversi da lì senza prima un ordine diretto.
«Cosa…cosa vuole che facciamo, mio leader?» aggiunse, scosso da tremiti a cui però l’Orco non fece minimamente caso. Era come se fosse da solo, come se si fosse dimenticato dei morti e dei vivi che aveva intorno. Tutto ciò che vedeva era una scacchiera, con l’uomo del rifugio seduto da una parte e i propri pedoni a terra dall'altra.
«Abbattiamo questo bastardo.»

Qualche ora prima, nonostante fossero parecchio distanti, si era udito distintamente il suono di una forte esplosione. Mark aveva intuito che Wendell, o più presumibilmente qualcuno dei suoi uomini, avesse innescato la trappola preparata prima di lasciare il rifugio. Tuttavia non era così sprovveduto da crogiolarsi nell'idea di avere sconfitto i suoi inseguitori sfruttando quell'unico stratagemma. Era convinto che l’Orco fosse sopravvissuto. Quell'uomo era furbo, sempre due mosse avanti a tutti.
«Papà, quando ci fermiamo?» chiese un’assonnata Helena, che si trascinava avanti a fatica.
«Tra poco. Mi sembra di vedere qualcosa in quella direzione. Non vorrei sbagliarmi, ma…»
Le ombre della sera erano già calate sull'orizzonte, ciononostante acuendo la vista si riuscivano a scorgere quelle che sembravano cime di palazzi. Mark non voleva illudersi, potevano benissimo essere colline basse e strette che in lontananza parevano costruzioni artificiali, in ogni caso non riuscì a frenare la curiosità. Gli altri adeguarono il passo a quell'accelerazione improvvisa senza protestare, la fatica gli impediva di sprecare fiato inutilmente. Man mano che si avvicinavano le forme si delineavano in maniera più chiara, fino a quando non ci furono più dubbi su ciò che avevano di fronte. Era un piccolo paese di periferia completamente in rovina. La strada che la famiglia stava percorrendo passava proprio nel mezzo di quell'ex centro abitato, tagliandolo in due parti. Da lì si diramavano tutte le altre vie laterali. Il primo blocco di case che incontrarono era in condizioni disastrose: una serie di villette a schiera che si affacciavano sulla via principale, dotate di giardini frontali ormai ridotti a mucchi di sabbia, con interi muri crollati e completamente scoperchiate. Come facessero a reggersi in piedi era un vero mistero, sembrava che il più leggero spiffero d’aria potesse farle crollare come un semplice castello di carte. Procedendo verso il centro del paese le cose non migliorarono, anzi se possibile peggiorarono. Quello che doveva essere stato un gruppo di condomini a più piani ora era solo un cumulo di macerie che nessuno si era preoccupato di rimuovere. Dovettero arrampicarsi su montagnole instabili di detriti per passare oltre. Un'unica costruzione era rimasta in piedi in quella zona, o meglio la metà di essa. Si trattava di un palazzo di almeno sette piani, pericolosamente inclinato con un’angolazione di almeno trenta gradi, che minacciava di seppellire chiunque avesse tentato di superarlo. Mark non poté fare a meno di pensare a ciò che aveva causato quell'immane devastazione. Immaginò le bombe sganciate dagli aerei come se fossero delle dannate palle in una partita di basket, quei maledetti missili il cui boato a seguito della loro detonazione ti faceva saltare dalla sedia a chilometri e chilometri di distanza…
«Papà.» lo interpellò Paul richiamando la sua attenzione. «Cos'è questo posto?»
L’uomo guardò la moglie e rifletté sul fatto di come tutto quello dovesse apparire agli occhi dei propri figli. Per loro non era mai esistito altro che il loro rifugio e occasionalmente il deserto sconfinato che lo circondava. Non avevano familiarità col concetto di “città”, di aggregazione, e pertanto erano rimasti perplessi. Tuttavia sui loro volti si notava anche meraviglia, nonostante la rovina dilagante. Probabilmente avrebbero esplorato ogni antro di quel luogo dimenticato da tutti con la speranza di fare nuove scoperte.
«Questo Paul, è il modo in cui vivevamo prima.» rispose il padre sorridendo appena.
Alcuni detriti del cumulo che avevano scavalcato poco prima caddero senza preavviso, allarmandoli per un istante.
«Maledizione! Mi è preso un colpo.» sbraitò Kevin.
«Quindi ognuno di voi viveva in uno di questi rifugi, uno di fianco all'altro?» continuò Paul che quasi non aveva sentito il rumore.
«Esatto. Queste erano chiamate “città”, o meglio, quella in cui ci troviamo è molto piccola quindi il nome più corretto sarebbe “paese”. In ogni caso, sì.» rispose Lara.
I ragazzi rimasero in silenzio, guardandosi intorno e cercando di immaginare come spendessero il loro tempo gli abitanti del passato.
«Come vi procuravate il cibo?» domandò Thomas.
Mark sorrise di nuovo, questa volta ironicamente, come se nemmeno lui potesse credere a ciò che stava per dire. «Nei negozi. Esistevano posti dove il cibo, ma non solo, arrivava tutti i giorni e chiunque poteva prenderlo in cambio di soldi. Ovviamente non avete la minima idea di ciò a cui io mi sto riferendo. Diciamo che si trattava di pezzi di carta che attestavano quanto valore una persona possedesse.»
Thomas si grattò il mento incredulo, Kevin dava delle vigorose pacche sulla spalla del fratello maggiore, ripetendo: «Hai sentito Paul? Cibo tutti i giorni!», mentre Helena era sfinita e dava poca importanza a tutte quelle rivelazioni. Lara se ne accorse e fece un cenno al marito.
«Ora però dobbiamo trovare un posto dove riposare, vostra sorella è molto stanca.» e così dicendo la prese in braccio e si rimise alla testa del gruppo.
Oltrepassarono un ampio spiazzo circolare che doveva essere stato il centro del paese. La pavimentazione era inesistente, il terreno irregolare per via delle esplosioni e ai margini di esso si scorgeva una vecchia croce di ferro deformata in molti punti che faceva supporre l’esistenza di una chiesa ridotta in polvere da molti anni. Si infilarono in una stradina laterale costeggiata da entrambi i lati da case a tre piani che si sostenevano a vicenda, essendo crollate le une contro le altre. Era come passare sotto una galleria con un soffitto decisamente più pericolante. Quando infine sbucarono all'esterno, rimasero tutti esterrefatti da ciò che videro. Un’intera area dove l’unica struttura rimasta eretta era un parallelepipedo di cemento. Qualsiasi altra cosa era stata spazzata via, ma quell'unico e anonimo edificio aveva deciso di resistere, di non cedere a nulla. Era l’unica spiegazione possibile, poiché non presentava quasi danni, il tetto era intatto, tutti i muri erano al loro posto e continuavano a sostenerne il peso.
«Possiamo fermarci lì per un po’.» annunciò Mark.
Si avvicinarono all'ingresso, una cavità rettangolare senza porta. Kevin, che stava per entrare prima di tutti, venne fermato dal padre. «Lara, Helena e Thomas, aspettate qui. Voi due prendete i fucili e seguitemi. Non abbiamo idea di cosa possa nascondersi all'interno.»
I due ragazzi imbracciarono le armi che tenevano a tracolla, accesero le torce e si affrettarono dietro a Mark che era già andato avanti. I fasci di luce illuminarono un ambiente insolito per quei tempi, come se una frazione di tempo si fosse congelata fino a quei giorni. Un tappetto rosso strappato in più punti ricopriva il pavimento, due distributori automatici, uno di bibite e uno di merendine, erano addossati a una parete e un bancone sul quale si trovava un registratore di cassa completava l’arredamento. Paul e Kevin si avvicinarono ai distributori, osservando la vetrata che impediva ai compratori di prendere i prodotti senza inserire nella fessura l’equivalente in moneta necessario.
«E questi che cazzo sono?» si lasciò sfuggire Kevin.
Mark lo fulminò con sguardo truce e gli fece cenno di fare silenzio. Il ragazzo, imbarazzato, si passò più volte il fucile da una mano all'altra fino a che il fratello non appoggiò una mano sulla canna per tenerlo fermo. Mark ispezionò il retro del bancone senza trovare nulla di sospetto, quindi si concentrò sull'entrata a lato di quest’ultimo, protetta da una tenda rossa lacerata. Cominciava ad avere un’idea ben precisa di ciò che stavano esplorando. Fece cenno ai figli di appostarsi di fianco a lui mentre infilava la punta dell’arma tra i due drappi per creare un’apertura attraverso cui ispezionare l’altra sala. Il raggio luminoso che danzava qua e là rivelò un ambiente molto più ampio del primo, con più di quindici file di sedili disposte in maniera ordinata, alcuni mancavano all'appello ma la maggior parte si trovava ancora al loro posto, e un grande telone bianco e rettangolare appeso alla parete di fondo.
«È un dannato cinema!» sussurrò Mark.
Prima che Paul potesse aprire bocca per chiedere spiegazioni, un ringhio udibile distintamente catturò la loro attenzione. Nel bagliore della torcia, un’ombra appena percettibile scivolo via, fulminea. Mark e i ragazzi indietreggiarono con cautela, i fucili spianati pronti a far fuoco.
«Cos'è? Un mutante?» domandò Kevin, tentando di mantenere la voce ferma per non far trasparire la paura.
«Non dire idiozie, i mutanti non esistono. Sarà qualche animale selvatico.» lo rimproverò il padre.
«Un animale?»
Mark sbuffò, per la prima volta irritato dall'ignoranza dei ragazzi. «Lo vedrai con i tuoi occhi.»
«Che facciamo, lo uccidiamo?» chiese Paul.
L’uomo annuì. Un nuovo ringhio, più rumoroso e deciso del precedente, li avvisò che la creatura si stava avvicinando. Le tende si mossero, Paul dovette evitare di far cadere la sua arma a terra per lo spavento, Kevin assunse istintivamente una posa difensiva, Mark invece fissò l’essere appena comparso come a volerlo sfidare. Era un lupo di dimensioni spropositate, grosso come un leone, il pelo color della sabbia quasi riluceva alla luce delle torce. Snudava con fierezza una collezione di denti affilatissimi, da far invidia a uno squalo, e le strette fessure attraverso le quali osservava gli invasori della sua proprietà nascondevano due piccole pupille che guizzavano rapidissime. Mosse altri tre passi in avanti, sicuro della propria superiorità.
«Questi bastardi hanno dimenticato il timore per le armi!» disse Mark con voce appena udibile.
Come in risposta alla pluralità usata dall'uomo, altri cinque esemplari identici al primo varcarono la soglia e si disposero a semicerchio intorno agli intrusi. Escluso qualche pelo che si muoveva per via di occasionali folate di vento, ogni cosa era immobile. La proverbiale quiete prima della tempesta. I lupi stavano pregustando la carne che avrebbero assaporato a breve, erano ormai pronti a dar piena potenza ai muscoli delle gambe per balzare sulle loro prede. In quel lungo periodo di tempo gli animali dovevano aver scordato l’esistenza delle armi e il loro utilizzo, perché noncuranti dei mirini puntati su di loro si lanciarono in un attacco simultaneo.
«Sparate!» urlò Mark, che mise a segno un colpo preciso tra gli occhi del primo lupo. I due ragazzi non mantennero lo stesso sangue freddo e scaricarono una raffica di colpi direzionata più dall'istinto che dalla propria volontà. Altri tre cadaveri si accasciarono al suolo, crivellati di colpi. La luce delle torce si muoveva come impazzita, illuminando gli schizzi di sangue che macchiavano ogni muro. Uno dei due animali sopravvissuti spicco l’ultimo salto pronto ad atterrare con la potenza delle zampe Mark, che ancora una volta non si fece trovare impreparato e fece fuoco, colpendo la creatura a mezz'aria. Quest’ultima emise un guaito prima di perdere lo slancio e sbattere rovinosamente al suolo. Sfortunatamente, l’unico lupo sopravvissuto era riuscito ad evitare i proiettili dei due fratelli e in un attimo fu addosso a Paul, che cadde all'indietro schiacciato sotto la forza di quell'essere enorme. Perse la presa sul fucile che finì fuori dalla sua portata. Kevin allarmato puntava la sua arma verso il basso, ma non osava sparare per timore di colpire anche Paul.
«Aiuto!» gridò il ragazzo da terra, che stava cercando con tutte le sue forze di allontanare il muso del lupo dal suo collo. Spingeva con entrambe le braccia, tentando di impedire alla bestia di spalancare le sue fauci e farlo a pezzi con la sua terribile dentatura.
Mark analizzò velocemente la situazione, relegò la paura di poter perdere suo figlio in un angolo della mente da cui non sarebbe potuta uscire, lasciò cadere il suo fucile per terra ed estrasse il grosso pugnale dalla cintola. Con i riflessi di un pugile si abbassò e sfrutto lo slancio per conficcare la lama nel cranio della creatura. Scese come se stesse tagliando un panetto di burro e immediatamente la mandibola del lupo smise di aprirsi e chiudersi quasi ritmicamente. Il pesante corpo morto coprì per intero Paul, che emise un rantolo. Kevin era paralizzato, gli occhi sgranati. Cadde sulle ginocchia e cominciò ad ansimare, come se in quel momento tutta la stanchezza accumulata durante la giornata e in quello scontro fosse stata rilasciata. Il suono del suo respiro era l’unica cosa che si sentiva, fino a che Mark spinse via la carcassa che opprimeva il petto del figlio. Poi si alzò in piedi e mise una mano sulla spalla di Kevin.
«È finita ragazzo, siete stati bravi. E come premio questa sera mangeremo carne.»

All'Orco non piaceva aspettare. Aveva esaurito la pazienza molti anni prima e adesso voleva ottenere immediatamente ciò che desiderava. Fortunatamente per lui, aveva il potere di farlo. Nonostante fosse buio, la zona era illuminata dai numerosi fasci di luce che si incrociavano continuamente alla ricerca di impronte. Finora le tracce trovate erano state davvero esigue, i fuggitivi le avevano coperte quasi alla perfezione. Quasi per l’appunto, perché nonostante tutto sarebbe stato impossibile cancellare qualsiasi tipo di impronta dalla sabbia del deserto, e quelle poche che si erano lasciati alle spalle avevano condotto il gruppo di Wendell fino a lì. Il leader vide una giovane recluta che si aggirava smarrita, come se non sapesse bene in che modo svolgere le ricerche. Gli si avvicinò premurandosi di essere notato in anticipo. Il ragazzo si irrigidì immediatamente e la torcia gli cadde di mano. Mosse lo sguardo dall'oggetto al volto dell’uomo che gli veniva incontro più volte, incerto se potesse piegarsi per raccoglierlo. Alla fine si decise senza però mai staccare gli occhi dal suo capo.
«Qual è il tuo nome?» chiese Wendell con tono duro.
«Fi…Finch, mio leader. Martin Finch.» rispose il giovane in preda al terrore.
«Ricomponiti Finch. Quali notizie ci sono?»
«Stiamo aspettando che tornino le quattro squadre da ricognizione, mio leader.» lo informò Martin con più sicurezza di quella che aveva.
«Vai a scoprire dove cazzo sono finiti allora! Sono stanco di aspettare.» esplose l’Orco, tornando immediatamente calmo.
«Vado subito mio leader.» disse il ragazzo, ma prima che potesse allontanarsi un uomo armato si avvicinò ai due.
«Mio leader, porto ottime notizie. Abbiamo trovato una strada asfaltata poco più a nord, e siamo certi che i fuggitivi l’abbiano percorsa.» annunciò il soldato con voce ferma.
Wendell dapprima sorrise col suo tipico ghigno inquietante, dopodiché scoppio in una sonora risata che dovette suonare folle alle orecchie degli altri due, che tuttavia non osarono parlare. Quando si fu calmato si passò il braccio destro sugli occhi per asciugarsi le lacrime.
«Perfetto, ce l’abbiamo in pugno. Ora non ci resta che stanare quei ratti. In cammino!»
«Sì, mio leader.» risposero il ragazzo e il soldato all'unisono.
«Ah, e assicurati che a Finch sia data un’arma e che venga messo in testa alla colonna. Insegniamogli a mostrare un po’ di coraggio.» ordinò, fissando il giovane con uno sguardo pieno di malvagità. Martin non riuscì a sostenerlo e dovette abbassare gli occhi. Fu grato perché i pantaloni gli rimasero asciutti.

Il fuocherello crepitava al centro della vecchia camera di proiezione, producendo una sottile colonna di fumo che fuoriusciva all'esterno attraverso un buco nel soffitto. Sul rudimentale supporto di legno costituito da due sostegni verticali e un bastone posto orizzontalmente su essi erano conficcati diversi pezzi di carne. Helena osservava rapita le fiamme arancioni che si protendevano verso i resti dei lupi senza mai riuscire a lambirli, un vano tentativo ripetuto all'infinito indipendentemente dai fallimenti. Mark stava addentando in piedi la sua cena, osservando la carcassa di un proiettore in un angolo della stanza. Si avvicinò incuriosito e la sollevò, esaminandola attentamente. Una logora pellicola strappata in più punti era ancora inserita nell'alloggio dedicato, e la parte di scritta ancora leggibile recitava: “eglio della forza”. Mark non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé, ricordandosi dei tempi in cui la più grande preoccupazione della maggior parte delle persone era il conto alla rovescia per l’uscita di un film.
Dopo l’attacco da parte dei lupi aveva avuto modo di riflettere a lungo, e aveva preso una decisione che stava per comunicare al resto della famiglia. Più volte aveva tentato di dissuadersi, di convincersi che ci fosse un altro modo, ma alla fine dei conti aveva capito che l’unica strada percorribile era quella. Così finì di mangiare il pezzo di carne che aveva tra le mani e richiamò l’attenzione di tutti schiarendosi la voce.
«Ascoltatemi bene perché ora vi dirò cosa faremo.» esordì. Ottenne delle occhiate sorprese dai suoi ascoltatori, dato che loro pensavano di avere già un piano d’azione.
«So che avevamo concordato di recarci a Houston, e lo faremo. Purtroppo però, sono sicuro che l’Orco sia proprio dietro di noi e avanzi anche molto più velocemente. È vero che abbiamo coperto le nostre tracce, tuttavia sarebbe stato impossibile cancellare del tutto le impronte di sei persone che camminano sulla sabbia. E so che con gli uomini a sua disposizione Wendell avrà ormai scoperto la strada asfaltata da noi percorsa. Perciò è solo questione di tempo prima che ci raggiunga.»
«Allora deviamo! Riprendiamo a camminare sulla sabbia. Faremo più attenzione…» propose Paul, che si zittì quando suo padre cominciò a scuotere la testa.
«È impossibile ragazzo, ci troverebbero lo stesso.» disse Mark.
«E allora che vuoi fare, arrenderti?» chiese sinceramente stupito Kevin.
L’uomo osservò la figlia piccola, assonnata, che voleva a tutti i costi rimanere sveglia per capire cosa stesse succedendo. Era seduta a terra, appoggiata con la testa alla spalla di Thomas. Improvvisamente si tirò su e si rivolse al fratello. «Cosa dici Kevin? Papà non si arrende mai, quando c’è lui noi non ci dobbiamo preoccupare.»
Kevin fu colto alla sprovvista dalla reazione della sorella. «Hai ragione Hel.»
«Infatti non intendo arrendermi, anzi, ho elaborato un piano. Io, Paul e Kevin ci apposteremo sui tetti, armati di fucili, e li coglieremo di sorpresa nel momento in cui metteranno piede in questo paese. Ne toglieremo di mezzo la maggior parte, dopodiché dovremo abilmente occuparci di quelli rimasti. Nel frattempo Helena e mamma andranno avanti, scortate da Thomas, che sarà a sua volta armato. Te la senti?» domandò rivolto al figlio.
Lui che si era sempre nascosto nel bunker, che aveva paura del mondo esterno, avrebbe dovuto proteggere la madre e la sorella. Tuttavia non ebbe un istante di esitazione quando annuì, e non fu tanto per non deludere il padre che lo fece, quanto perché ormai si era messo in gioco e non c’era più possibilità di tornare indietro. Si sarebbe adattato, anzi, lo stava già facendo.
«Ne sei sicuro?» chiese Lara preoccupata.
Mark annuì, poi rivolse uno sguardo interrogativo a Kevin e Paul.
«Non ci tireremo indietro.» rispose il più piccolo dei due, ottenendo subito l’approvazione dell’altro.
«Dunque è deciso. Porterete la radio con voi dato che Thomas è quello che la sa far funzionare meglio. Non fermatevi mai, continuate a muovervi senza aspettarci. Saremo noi a raggiungervi.»
Questa volta fu Thomas a confermare con un cenno del capo, guadagnandosi un sorriso soddisfatto da parte della sorella. Quest’ultima era contenta che il ragazzo fosse finalmente riuscito a diventare più sicuro di sé e a prendere coscienza delle proprie potenzialità.
Terminarono la cena in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, preoccupazioni per il futuro, ricordi del passato. Lara non voleva abbandonare i suoi figli, ma capiva che i ragazzi erano cresciuti, ora i compiti si erano invertiti, spettava a loro proteggere lei. Helena voleva molto bene ai suoi fratelli, non ce n’era uno per cui provasse più affetto, tuttavia era contenta che Thomas accompagnasse lei e la madre, si sentiva più sicura. A un tratto si alzò e si avvicinò al padre, fermandosi proprio davanti a lui.
«Che c’è Helena?»
In risposta la bambina gli gettò le braccia al collo e strinse forte, abbandonandosi con tutta sé stessa in quell'abbraccio. Mark ricambiò, sorridendo felice e le diede addirittura un bacio sui capelli.
«Stai tranquilla Helena, a Houston staremo di nuovo tutti insieme e ricominceremo a vivere. Una vita vera questa volta, finalmente potrò darvi ciò che meritate.» disse l’uomo chiudendo gli occhi. Mark non piangeva mai, ma se gli fossero rimaste lacrime da versare, quello sarebbe stato il momento adatto.

L’alba era passata da un pezzo quando il piccolo esercito formato da una trentina di individui raggiunse le macerie dei vecchi palazzi. Avanzavano disposti a tre a tre, con in testa il loro leader circondato invece da quattro uomini. Il cielo era coperto quel giorno, il sole lottava strenuamente contro le nuvole per ritagliarsi il proprio spazio, senza grande successo. Wendell fece cenno alla colonna di fermarsi e cominciò a guardarsi intorno. Era parecchio tempo che non vedeva una cittadina, forse anni, ma ricordava bene la devastazione. Non che gli dispiacesse, in fondo lui ci aveva solo guadagnato dalla fine del mondo, però quella visione solleticava la sua memoria.
«Muoviamoci. Potrebbero essersi nascosti in qualcuno di questi edifici, anche se ne dubito. Occhi aperti.» ordinò.
Ripresero a camminare con i fucili spianati, pronti a far fuoco. Un rumore di sassolini smossi proveniente da destra mise tutti in agitazione, in particolare un soldato che scaricò una raffica di colpi in quella direzione. L’Orco si accorse immediatamente che l’uomo aveva sparato al nulla e gli andò incontro minaccioso. Senza alcun preavviso gli tirò un pugno sul naso e poi uno nello stomaco, costringendolo a piegarsi in due dal dolore.
«Maledetto idiota! Vuoi fargli sapere che siamo qui?» ringhiò Wendell.
«Mi disp…» provò a rantolare il soldato prima di venire interrotto da un calcione in pieno volto.
«Rimettiti in piedi soldato, alla svelta!»
L’uomo nonostante lo stato di agonia in cui si trovava, si sforzò per rimettersi in posizione eretta.
Come se non fosse accaduto nulla l’Orco fece cenno ai suoi di mettersi in movimento. In breve tempo scavalcarono il mucchio di detriti costituito dai resti dei condomini distrutti e si ritrovarono nella piazza senza pavimentazione. Da lì si diramavano più vie, costeggiate da case prossime al crollo a giudicare dalla loro inclinazione. Avrebbero dovuto sceglierne una da percorrere o dividersi per perlustrarle tutte. Proprio in quell'istante una gigantesca nuvola transitò davanti al sole oscurandolo. Fu quel grigiore improvviso che permise a Wendell e pochi altri di notare una serie di bagliori istantanei provenienti dal terreno sotto i loro piedi che li spinsero istintivamente a lanciarsi di lato. Pochi secondi dopo la zona sembrava essersi trasformata in un campo di battaglia. Pezzi di arti e interiora sparsi ovunque, il sangue che macchiava ogni cosa, i sopravvissuti con varie mutilazioni che urlavano, grida talmente forti che parevano il seguito del boato precedente. L’esplosione aveva fatto tremare le costruzioni che avevano tuttavia resistito. La polvere sollevatasi creava una fitta coltre attraverso la quale era impossibile distinguere qualcosa. Non appena cominciò a diradarsi, gli uomini rimasti a terra o storditi e in procinto di rialzarsi vennero abbattuti come animali al macello. Colpi precisi trapassavano i crani andando ad aggiungere materia cerebrale a quel già macabro dipinto che era diventata la piazza. Altri indirizzati più grossolanamente non erano subito fatali, però dopo un paio di spari di assestamento centravano il bersaglio. Resisi conto di ciò che stava accadendo, i superstiti si affrettarono verso le strade laterali che avrebbero garantito loro un riparo sicuro. L’Orco era tra questi. Riuscì a raggiungere l’interno di un’abitazione sfruttando i punti in cui il pulviscolo si era aggregato più densamente. Subito dopo di lui arrivò Finch, completamente ricoperto di sangue e resti umani. Era in evidente stato di shock, gli occhi sgranati e un tremore diffuso che non poteva controllare.
«Porca troia! Quel maledetto bastardo ci stava aspettando!» imprecò l’uomo. «Ci ha attirato nella sua trappola come fottuti topi e ci ha decimato!»
Di fianco a lui Martin ansimava ininterrottamente, come se stesse per avere un attacco di panico. Wendell gli assestò un potente schiaffone.
«Riprenditi imbecille! Dobbiamo schiacciare quegli insetti. Quello stronzo pensa di aver messo il mio re sotto scacco, ma non sa con chi ha a che fare.» disse ghignando e scoppiando a ridere subito dopo. Follia. Sì, probabilmente non poteva sfuggire allo squilibrio mentale, lo ammetteva candidamente, ma più che averne timore ne era estasiato. Lo considerava un dono, una condizione che paradossalmente gli permetteva di elaborare mosse con sorprendente lucidità.
Nel frattempo gli spari si erano fermati. Wendell tese l’orecchio per captare qualche suono, ma escluso il rumore dei pezzi di edificio che si schiantavano al suolo non udì nulla.
«Perlustriamo le case intorno alla piazza e raduniamo i sopravvissuti. Ho visto da dove provenivano i colpi, li andremo a prendere.» annunciò con determinazione.
I due uscirono da un’apertura nel muro di destra e si misero a cercare in ogni abitazione che incontravano, sempre stando attenti a non entrare nella linea di tiro dei cecchini. Nella terza ispezionata trovarono tre uomini che subito lo salutarono con il consueto “mio leader”. In realtà furono solo in due a fare il saluto, l’altro non poteva certo comprendere cosa stesse succedendo intorno a lui. Era ridotto male, un terzo di faccia maciullato, respirava a fatica. L’Orco si avvicinò, estrasse un pugnale e glielo conficcò con forza nel cuore, tenendolo fermo con l’altra mano. L’ultimo respiro giunse come un ringraziamento.
Senza degnare l’evento appena accaduto di una parola, non aveva certo bisogno di fornire spiegazioni, indicò ai due soldati in piedi davanti a lui il luogo da cui uno dei due tiratori aveva fatto fuoco. Era un palazzo di tre piani, l’ultimo dei quali quasi inesistente, che tuttavia era ben saldo sulle proprie fondamenta.
«Portatelo giù. Non sottovalutatelo o vi ritroverete con due buchi in testa.» ordinò.
Gli uomini annuirono e si volatilizzarono per svolgere la missione assegnata loro.
«Continuiamo.» disse Wendell a Finch.
Dovettero scavalcare alcuni cumuli di detriti formatisi in seguito agli scoppi multipli di poco prima. Mattoni e calcinacci continuavano a cadere senza alcun preavviso, rendendo il tutto ancora più rischioso. Uno sfiorò la spalla di Finch che fece cadere a terra l’arma, attirandosi tutta una serie d’insulti che subì in silenzio. Nel giro di qualche minuto il gruppetto aveva acquisito altri due elementi, mentre un terzo era stato mandato ad aiutare i restanti superstiti nella caccia agli uomini. L’Orco rifletteva a un ritmo febbrile su tutti i possibili esiti che quella situazione poteva generare, per non farsi trovare impreparato. Se i nemici fossero riusciti a eliminare i soldati che aveva messo sulle loro tracce si sarebbe appostato nei pressi degli edifici e avrebbe aspettato di stanarli come un lupo in attesa che la sua preda cada dall'albero su cui si è rifugiata. Doveva ammettere che quel bastardo era veramente furbo, da quando quel maledetto flagello era calato sulla terra non aveva mai incontrato un tale scaltro figlio di puttana. Diamine, probabilmente non aveva mai incontrato uno come lui in tutta la sua vita. Chissà cosa avrebbero potuto realizzare insieme, se solo fosse riuscito a convincerlo a passare dalla sua parte… No, era impossibile. Quelli che si portava dietro dovevano essere i suoi figli o comunque parenti stretti, e avrebbe tentato di tutto pur di proteggerli da lui, non si sarebbe mai schierato al suo fianco. Peccato.
Il rumore di qualcosa che veniva urtato attirò la sua attenzione. Alle loro spalle, proveniva da una casa a un solo piano con un ampio giardino frontale morto da tempo. Strano, se fosse stato uno dei soldati sarebbe uscito fuori, non avrebbe tentato di nascondersi. Fece cenno ai suoi di circondare l’abitazione.
«Bloccate le uscite. Quando sentite il rumore di un sasso che cade a terra entrate. Non sparate per uccidere.» ordinò.
C’erano due entrate, una davanti e una sul retro. Si divisero in due gruppi, e al segnale concordato fecero irruzione. Wendell e Finch si ritrovarono in un ampio soggiorno con pezzi di legno marcio sparsi ovunque. Lì non c’era nessuno. Proseguirono nel corridoio su cui dava il resto delle stanze e iniziarono a cercare nella prima a destra, una cameretta con un letto sorprendentemente intatto e un armadio poggiato di traverso su di esso. Nessuno nemmeno lì. Tornarono fuori ma non dovettero perlustrare oltre. Uno degli altri due uomini teneva stretto per la gola un ragazzo alto e magro, sui vent'anni, di bell'aspetto.
L’Orco sorrise con quel suo tipico ghigno senz'anima. «Bene, bene. Abbiamo catturato un alfiere.»

Mark si rimise il fucile in spalla e si apprestò a lasciare la sua postazione, sperando che il figlio stesse facendo lo stesso. Ne avevano fatti fuori parecchi, probabilmente ne rimanevano meno di una decina, tra cui l’Orco. Aveva la sensazione che quell'animale non sarebbe morto tanto facilmente. Ora doveva sbrigarsi, di sicuro i sopravvissuti erano riusciti a individuare il punto da cui erano partiti gli spari, non erano principianti, e lui era certo che si stessero dirigendo lì proprio in quell'istante. Si preparò a scendere la scalinata malridotta, un rischio che avrebbe fatto volentieri a meno di correre, e tastando con cura ogni gradino per saggiarne la resistenza raggiunse la strada sottostante. Prima di uscire allo scoperto si mise in ascolto e guardò in entrambe le direzioni. Quando fu sicuro di essere da solo si diresse verso il punto d’incontro concordato con Kevin. Fece attenzione ad ogni punto in cui si sarebbero potuti nascondere i suoi nemici, ogni angolo, controllando almeno due volte che il percorso fosse libero. In pochi minuti raggiunse il figlio che lo stava aspettando seduto, poggiato contro una montagnola di rocce che l’avrebbe celato a prima vista.
«Tutto a posto?» domandò sbrigativo Mark. Kevin annuì.
«Andiamo, dobbiamo occuparci degli altri. Adesso inizia la parte difficile.»
Fecero in tempo a muovere un paio di passi prima di sentire la voce di un folle che gridava a squarciagola.
«Credo che sia ora di uscire fuori miei cari amici! Finalmente è giunto il momento del nostro incontro.»
Mark fece cenno al ragazzo di fare silenzio. Voleva ascoltare ciò che la sua nemesi aveva da dire.
«Oh, devo ammettere che mi avete dato del filo da torcere, non credevo che qualcuno potesse riuscirci. Diamine, per poco non mi avete sconfitto!» esclamò con pura meraviglia.
«Tuttavia è arrivata anche per voi la resa dei conti. Dunque mostratevi, mettevi al centro della piazza. Io e il mio nuovo compagno, che sono convinto conosciate bene, vi raggiungeremo immediatamente.» concluse.
Quest’idiota ha il gusto per la teatralità pensò Mark.
«Ha preso Paul, papà!» sussurrò Kevin. Mark fece un cenno col capo, cercando di mantenere la calma. Doveva rimanere lucido per riuscire a salvare il figlio, evitando mosse avventate dettate dall'impazienza.
«Ci giustizieresti in ogni caso, quindi perché dovremmo fare ciò che dici?» domandò.
In risposta ottenne una sonora risata. Quel dannato ambiente pareva amplificare i suoni.
«Non lo nego, ma credo tu sappia meglio di me che lo devi fare per avere una possibilità. Non lascerai morire quello che credo sia tuo figlio senza tentare qualcosa, dico bene?»
Dici bene maledetto bastardo.
«D’accordo, arriviamo.» acconsentì Mark. Indicò a Kevin di seguirlo e riluttante il ragazzo si avviò dietro di lui.
Non appena abbandonarono la protezione delle case e si ritrovarono nel centro del paese si presentò loro una scena di morte disgustosa. Il puzzo acre aleggiava ovunque e costrinse Kevin a trattenere per ben tre volte i conati di vomito. Il pulviscolo si era posato ed era possibile distinguere con chiarezza anche il più macabro dettaglio. Membra e interiora erano sparse alla rinfusa e si appiccicavano alle suole delle scarpe come terra bagnata, il sangue formava numerose pozzanghere da cui tracimava in sottili rivoli che si allontanavano come fiumiciattoli. Perfino Mark arricciò il naso e riuscì a non tapparselo solo grazie alla sua immensa forza di volontà. Arrivarono al centro della piazza tenendo i fucili ben saldi, anche se erano ben consapevoli del fatto che non avrebbero offerto una gran protezione in quella posizione così esposta.
«Fatti vedere!» gli urlò Mark.
Un gruppo compatto con quello che doveva essere il loro leader nel centro sbucò da uno dei fatiscenti edifici, avvicinandosi e tenendo padre e figlio costantemente sotto tiro. Anche i due fecero lo stesso.
«Mettete giù le armi. Ora.» ordinò l’Orco, che teneva il braccio sinistro intorno alla gola di Paul e con l’altro impugnava una pistola appoggiata contro la tempia del ragazzo.
Molto lentamente i due iniziarono ad abbassarle.
Non ci fu bisogno di nessun cenno, tutto era già stato concordato. Il grido improvviso di Wendell che fu costretto a mollare la presa sull'ostaggio distrasse i suoi uomini. Mark e Kevin aprirono il fuoco, proiettili precisi all'altezza del petto, mentre Paul rimaneva abbassato per evitare di essere colpito. Le guardie che circondavano l’Orco dalla parte destra non fecero in tempo a riprendersi dalla sorpresa e furono falciate dall'arma di Mark come rami secchi. Sulla sinistra invece Kevin non fu altrettanto rapido e Finch approfittò inconsapevolmente dei due soldati che aveva davanti per ripararsi e successivamente rispondere all'offensiva. Fece in tempo a sparare due colpi quasi alla cieca prima di essere abbattuto da Paul, che in preda alla frenesia scaricò mezzo caricatore nel torace del giovane, servendosi della pistola sottratta al suo sequestratore.
Wendell si rialzò in piedi tenendo entrambe le mani premute intorno alla lama del pugnale conficcato nella sua coscia. Pensò di estrarlo ma scartò l’idea quasi immediatamente, temendo una morte per dissanguamento. Il dolore era costante, pulsante, e gli offuscava la vista. Si concentrò sulla situazione attuale e gli venne da ridere. Era circondato dai cadaveri dei suoi uomini e colui che prima era prigioniero ora lo teneva sotto tiro con la sua stessa pistola. Aveva perso qualsiasi tipo di vantaggio, era l’ultimo pezzo della sua squadra rimasto in piedi.
Scacco matto.
«Ottimo lavoro Paul, sei stato grande!» esclamò Kevin colmo di gioia.
Il ragazzo sorrise. «Già. Papà che facciamo ora?»
Mark non rispose e Paul che non osava girarsi per paura che l’Orco potesse fare qualche mossa, domandò di nuovo. «Papà? Kevin, cos'ha papà?»
Wendell non disse nulla e non mutò espressione se non per qualche occasionale contrattura delle labbra causata dal dolore. Kevin si lanciò a terra scuotendo il padre che se ne stava immobile disteso su un fianco.
«Papà!» gridò mentre tirava la sua spalla avanti e indietro.
Mark rinvenne urlando e ansimando, contorcendosi su sé stesso.
«Che cazzo succede Kevin?» volle sapere Paul che era sempre più allarmato.
«Papà è stato colpito a una gamba e a un braccio mi sembra!»
«Cosa? Sta bene?»
«Certo che no! Ma pare si stia calmando. Papà, mi senti?» provò a chiedergli il figlio.
Mark riuscì a girarsi sulla schiena e tra un lamento e l’altro fece cenno di potersela cavare.
«È tornato tra noi.» comunicò Kevin sollevato. Per alcuni momenti aveva temuto il peggio.

La successiva mezz'ora trascorse con Kevin che si occupò di pulire e fasciare al meglio le ferite del padre, che dopo i gemiti iniziali aveva resistito stoicamente senza emettere alcun suono, e con Paul che sorvegliava a vista Wendell dopo averlo legato. Si erano spostati all'interno di una delle case in rovina ai limiti della piazza sia per il puzzo sia per evitare che qualche superstite potesse sorprenderli, anche se credevano improbabile che ce ne fosse qualcuno.
Avevano provato a far inginocchiare l’Orco ma i muscoli della gamba erano messi troppo male per sorreggerlo, così era stato fatto sedere in un angolo con la schiena contro il muro. A volte pareva sul punto di svenire, la testa iniziava a ciondolare per poi scattare in posizione eretta l’istante successivo. Evidentemente stava lottando con tutte le sue forze per evitare di perdere i sensi.
Quando si fu ripreso abbastanza da tirarsi su, Mark volle sedersi di fronte al suo nemico in modo da guardarlo negli occhi mentre gli parlava per l’ultima volta. I ragazzi rimasero in piedi. Lasciò che fosse l’altro a iniziare.
«Che vuoi che ti dica? La partita è finita ormai.» disse con voce flebile. Bisognava tendere l’orecchio per capire le sue parole, le labbra non si discostavano molto e i suoni faticavano a uscire.
Mark annuì.
«Tuo figlio è stato bravo. Il pugnale…» si fermò un istante per riprendere fiato. «Il pugnale era celato in maniera perfetta nella manica.»
Paul rimase impassibile e lasciò che fosse il padre a replicare.
«Non avresti dovuto seguirci, sarebbe stato meglio per tutti.»
Wendell scoppiò in una rauca risata che si spense quasi subito. «Non ci avrei fatto una gran figura coi miei sudditi se vi avessi permesso di scappare impuniti.»
Mark batté forte il pungo per terra. «Quelli sono tuoi prigionieri, non tuoi sudditi!»
Si fermò un attimo per calmarsi e riprendere un tono pacato. Non voleva dargli la soddisfazione di vederlo innervosito dalle sue parole, sarebbe servito solo ad alimentare i suoi deliri di onnipotenza.
«Ora pagherai le conseguenze per le tue azioni.»
«Aspetto il tuo giudizio.» replicò lui con tono di sfida.
«Hai fretta di morire?» gli chiese Mark inarcando un sopracciglio.
Wendell scosse la testa. «No, ma non vedo che opzioni mi rimangano.»
Paul e Kevin si guardarono interrogativamente, dopodiché il maggiore si rivolse al padre. «Hai intenzione di giustiziarlo?»
«Vi ho detto che avrei fatto qualsiasi cosa per proteggere la nostra famiglia.» rispose secco Mark.
L’Orco parve rimuginare su qualcosa, sempre che invece non fosse concentrato per contenere il dolore, ma le sue successive parole confermarono la prima ipotesi. «Che ne diresti di unirti a me? Agiremo da pari e la tua famiglia sarà ovviamente al sicuro. Pensa a ciò che potremmo fare con le tue capacità a disposizione.»
«Sono deluso. Non pensavo saresti arrivato ad un così squallido tentativo pur di salvarti la vita.» affermò Mark.
L’uomo parve risentirsi per quell'insinuazione. «Dico sul serio. È un peccato sprecare le tue e le mie abilità.»
Kevin intervenne con veemenza, alzando la voce. «Mio padre non potrebbe mai stare dalla stessa parte di un mostro come te.»
Wendell sogghignò di nuovo. «Io e tuo padre siamo molto simili, l’unica differenza è che io non ho avuto paura di fare ciò che serviva per arrivare al potere.»
Il ragazzo stava per replicare ma venne fermato dalla mano alzata di Mark. «La mia priorità non è il potere ma la vita delle persone a me care.»
«No, non è vero, questa è solo una scusa.»
«Pensala come vuoi. In ogni caso per te finisce qui.»
In quell'istante l’Orco capì di essere arrivato al capolinea, di non poter intraprendere altri percorsi e che dunque le sue gesta si sarebbero fermate lì. E allora scoppiò in una delle sue risate folli, che echeggiò tra le quattro mura malandate che li circondavano. Ignorò le fitte e continuò, poiché trovava la situazione terribilmente divertente. Era soddisfatto di come aveva condotto la sua vita, di ciò che aveva realizzato, tuttavia alla resa dei conti non importava più nulla. La sua esistenza si sarebbe conclusa in pochi secondi, e da lì in avanti non avrebbe più goduto dei benefici di quelle azioni.
Mark attese che si calmasse, poi raccolse la pistola da terra e la puntò dritta al cuore del suo nemico.
«Va bene, premi quel fottuto grilletto.» disse, come se sentisse il bisogno di concedere alla morte il permesso per venirlo a mietere.
Il suo ultimo pensiero lo sorprese. Fu per la moglie, morta anni prima della devastazione del mondo, in un’altra vita per così dire. Buffo, se n’era completamente dimenticato, era la prima volta che gli tornava in mente…
Lo sparo fu assordante, i due ragazzi si tapparono le orecchie istintivamente. Il corpo di Wendell perse subito la rigidità e si abbandonò completamente contro il muro come se finalmente avesse deciso di arrendersi al sonno. Anche Mark si sdraiò a terra una volta che la tensione della situazione lo abbandonò.
«Lasciatemi qui ragazzi. Raggiungete vostra madre, Thomas e Helena a Houston, io vi rallenterei, sono troppo malconcio per reggere un viaggio così lungo.» annunciò stancamente l’uomo, quel gigante che da più di vent'anni lottava ogni giorno per il bene della sua famiglia e che ora sembrava aver esaurito la sua riserva di energie.
Per tutta risposta i due lo sollevarono per le spalle, uno da una parte e uno dall'altra, facendo attenzione alle ferite, e cominciarono a camminare. Provarono a farsi carico di ciò che trasportava il padre, ma furono costretti a lasciare indietro alcune armi.
«Costruiremo una barella su cui trasportarti, e se non ci riuscissimo ti porteremo a turno in spalla.» sentenziò Paul.
«Non ti abbandoneremo, questo è sicuro.» gli fece eco Kevin.
Un sorriso illuminò il volto di Mark nonostante fosse raro veder comparire quell'espressione sul suo viso. «Sono fiero di voi.»

Epilogo

 

Thomas rincasò poco prima del tramonto, come aveva fatto spesso in quegli ultimi giorni. Helena lo attendeva sulla soglia e corse ad abbracciarlo non appena lo vide.
«Mi lasci sempre da sola.» lo accusò lei imbronciata.
Lui le scompigliò i capelli. «Ti lascio con mamma. E poi lo sai dove vado.»
La sorella annuì sorridendo e scattò verso la cucina gridando. «Mamma! Mamma! Thomas è tornato.»
Il ragazzo si sedette sul divanetto accostato al muro del piccolo salotto e sospirò. Avevano assegnato loro una bella abitazione, piccola ma confortevole, e dopo il lungo cammino che avevano dovuto affrontare per arrivare fin lì appariva come una manna dal cielo. Inoltre Houston era una città sicura, con leggi da rispettare e un esercito che si occupava sia delle minacce esterne che di quelle interne. Tuttavia non riuscivano a godersi appieno quella situazione per la preoccupazione che li accompagnava costantemente.
«Allora Thomas?» gli chiese la madre che era entrata nella stanza mentre lui rifletteva.
Il giovane scosse la testa. «Nessun arrivo neanche oggi.»
Lara si portò le mani al viso sconsolata e anche Helena si rabbuiò. A quella vista Thomas si alzò in piedi, sollevò la sorella e fece passare un braccio intorno alle spalle della madre.
«Coraggio, sono sicuro che arriveranno. Papà, Paul e Kevin sono tre uomini abili e intelligenti. Beh, forse la seconda qualità non vale per Kevin.»
Helena si mise a ridere e Lara gli diede un’occhiataccia dopodiché scoppiò anche lei in una risata.
«In ogni caso ce la faranno. Avranno avuto qualche contrattempo, ma è solo questione di giorni prima che si facciano vivi.» annunciò con convinzione.
Entrambe annuirono a quell'affermazione, rinfrancate dalle parole del ragazzo.
Lara guardò il figlio mentre giocava a rincorrersi con la sorellina e non poté fare a meno di pensare a quanto era cambiato in quell'ultimo periodo, a come la sua vera natura si fosse rivelata. Lui si sentiva in dovere di proteggere gli altri, e adesso che aveva finalmente trovato il coraggio di farlo non l’avrebbe fermato più nulla. Era convinto che Paul e Thomas fossero gli uomini forti della famiglia, quelli che avrebbero percorso le orme di Mark, ma si sbagliava. Era lui il più simile al padre, e ogni volta che Lara lo osservava si convinceva sempre di più che lo avrebbe addirittura superato.
Thomas sarebbe diventato un vero e proprio eroe. 

Nessun commento:

Posta un commento