mercoledì 22 luglio 2015

La landa



Un leggero venticello spazzava il terreno, sollevando una miriade di granelli di sabbia che punzecchiavano ritmicamente il volto dell’uomo disteso a terra. Per diverso tempo non si accorse della cosa, fino a quando ad un tratto aprì gli occhi. Le pupille guizzarono da una parte all’altra, rispecchiando la confusione che attanagliava il suo cervello. Di scatto l’individuo sollevò la testa e si mise sulle ginocchia, guardandosi intorno. Si trovava su una piatta distesa di roccia che si estendeva a perdita d’occhio, oltre l’orizzonte. Non una singola altura si frapponeva ad ostruire la visuale, o un fiume a tagliare in due il paesaggio. Il cielo era azzurro, completamente sgombro dalle nuvole, e il sole splendeva luminoso lì in alto, rendendo il suolo bollente come una fornace. O almeno così avrebbe dovuto essere. L’uomo fece caso per la prima volta all’indumento che indossava, una tuta nera che lo ricopriva dalla testa ai piedi, e che sembrava essere un pezzo unico, senza alcun punto di giunzione. Provò a toccarsi la bocca, gli occhi e si accorse di non riuscirci, quindi capì che la tuta lo avvolgeva interamente, senza lasciare neanche uno spiraglio. Avvertì un senso di oppressione che però rimaneva distante, al limitare dei suoi pensieri, che erano monopolizzati da un’unica domanda.
Dove mi trovo?
L’uomo non riusciva a ricordare nulla, nemmeno il suo nome, e questo stava cominciando a terrorizzarlo. Si impose di calmarsi, e dopo un paio di respiri profondi riuscì a ritornare lucido. Se voleva delle riposte non le avrebbe certo trovate restando fermo lì. Quindi si alzò in piedi e cominciò a camminare verso una direzione qualsiasi. La cosa fondamentale era riuscire a scovare una fonte d’acqua, poi avrebbe potuto dedicarsi alla ricerca del cibo. Ogni dieci minuti una lunga serie di dubbi si insinuava nella sua mente e lo costringeva quasi a fermarsi. E se non fosse riuscito a trovare l’acqua? E se ne avesse trovata troppo poca? E se non ci fosse niente di commestibile?
E se fossi solo?
Quest’ultima era la peggiore. Sperduto, in un mondo che non riconosceva e senza nessun altro essere vivente con cui potersi confrontare. Si disse che era inutile rifletterci ora, bisognava raggiungere un obbiettivo per volta. Se ne sarebbe occupato quando sarebbe stato il momento.
L’uomo stava camminando ormai da due ore, o almeno così gli era parso. Il sole sembrava aver toccato il suo punto più alto e probabilmente l’aria intorno al viaggiatore aveva raggiunto temperature infernali, ma lui non avvertiva alcun cambiamento. Era come se il suo corpo si muovesse nel clima più favorevole possibile, come se fosse isolato dal mondo esterno. Cominciava a credere che la tuta avesse proprio questa funzione, e per la prima volta da quando si era svegliato, fu grato per qualcosa. Tuttavia, sebbene la calura non contribuisse a fargli perdere le forze, la stanchezza fisica e la disidratazione iniziavano a mostrare i loro effetti. Così, per evitare di svenire, decise di fermarsi qualche istante. Si lasciò cadere sulle schiena e si sdraiò con le braccia aperte, chiudendo gli occhi per via della forte luce solare. Subito sperimentò un sollievo che non credeva possibile, e immediatamente dopo la terrificante consapevolezza che a breve non si sarebbe mai più rialzato. Quello non era sollievo ma accettazione dell’ineluttabile, del sopraggiungere della fine. Quasi con un balzo fu di nuovo in piedi e pronto a ripartire.
Il paesaggio non cambiava mai, sempre la stessa, infinita, piatta distesa rocciosa. Non un albero, una pianta o anche solo un filo d’erba che indicasse la presenza di vita. Solo strutture inanimate. Ma lui da dove veniva? Come faceva a ricordarsi della flora, o a sapere che quello lassù si chiamava Sole, o qualsiasi altra cosa? Chi era?
Ancora una volta si ripeté che non doveva pensarci adesso, e tornò a concentrarsi sull’obbiettivo, tentando di tenere lontane quelle assillanti domande. Ma naturalmente più tentava di escluderle e più esse si facevano insistenti, come un lago che spinge e si infiltra tra le aperture di una diga crepata.
Trascorse molto altro tempo, tanto che oramai l’uomo ne aveva perso la cognizione e non riusciva più a calcolare da quanto stesse camminando. L’astro luminoso nel cielo sembrava essersi spostato veramente di poco, sebbene avrebbe già dovuto iniziare la sua discesa giornaliera. L’orizzonte appariva sfocato e ondulato per via dell’afa, e il viaggiatore pensò che se non avesse avuto quella particolare tuta a proteggerlo, avrebbe già fatto una brutta fine da diverso tempo. Tutt’a un tratto le forze gli mancarono e smisero di sostenergli le gambe, facendolo capitombolare a terra lungo disteso. Era scoraggiato oltre ogni limite, rassegnato a rimanere immobile fino all’esalazione del suo ultimo respiro e anche oltre, pronto a diventare parte di quello spoglio ambiente che lo stava uccidendo lentamente, quando in lontananza, oltre gli effetti della rifrazione, notò qualcosa. Era una variazione lievissima rispetto al paesaggio circostante, ma in quel punto sembrava esserci proprio una tenda. E chi poteva montare una tenda se non una creatura senziente, qualcuno in grado di aiutarlo?
Rinfrancato da queste speranze, puntò le braccia sulle rocce sottostanti e fece leva per rimettersi in posizione eretta. Una volta su, fece moltissima fatica per restare dritto. Le ginocchia continuavano a tremare, minacciando di sospendere la loro attività da un momento all’altro. Ignorando il tutto, l’uomo proseguì a piccoli passi, tastando il terreno a ognuno di essi come se ne stesse controllando la consistenza. Ci volle un’eternità. Rischiò di inciampare un’infinità di volte e quando arrivò non gli era rimasto più un briciolo di forza, ma ce la fece. Svenne esattamente davanti all’ingresso di una tenda conica.
Quando sollevò di nuovo le palpebre, si accorse di essere all’interno della tenda, sdraiato su un fianco e con una coppa piena d’acqua proprio davanti a lui. Quasi si lanciò sul liquido trasparente rischiando di farlo buttare, quindi con molta più attenzione si sedette e si portò la coppa alle labbra. Si bloccò appena si accorse che l’acqua non gli entrava in bocca bensì gli scivolava sulla tuta, e allora si ricordò che l’indumento non aveva aperture. Con foga tentò di strapparselo di dosso, senza riflettere sulle possibili conseguenze, tuttavia non ottenne alcun risultato. Voleva urlare, ma la gola era talmente secca che gli uscì solamente un sibilo strozzato, come quello di un fischietto rotto.
I lembi della tenda si aprirono lasciando entrare un altro uomo vestito con la stessa tuta ma senza la parte a protezione del viso. Aveva i capelli scuri, brizzolati, e un volto spigoloso, corredato da un’accentuata peluria. Per quanto riguardava l’altezza era nella norma, intorno al metro e ottanta, era magro ma non esile, appariva ben bilanciato. Gli tese la mano destra e sorrise.
«Ben svegliato. Io sono Cody.» disse.
L’uomo ci mise qualche secondo a rendersi conto della situazione, poi gli strinse la mano e rispose. «Piacere.»
«Vuoi che ti aiuti a toglierlo?» chiese Cody, indicando il cappuccio.
L’altro annuì. Il proprietario della tenda si avvicinò e con entrambi gli indici toccò un punto alla base destra del collo e uno alla base sinistra, simultaneamente. La tuta emise un breve segnale acustico dopodiché la parte superiore cominciò a ritirarsi in quella inferiore, fino a scomparire del tutto.
«Gr…Grazie.» riuscì a balbettare l’uomo, prima di avventarsi sulla coppa che aveva ancora davanti agli occhi. Questa volta trangugiò il liquido senza alcun problema, facendone scendere alcuni rivoli ai lati della bocca. L’acqua era freschissima, sembrava che l’avessero raccolta proprio in quel momento, mentre sgorgava dalla fonte. La sensazione che gli diede fu di puro benessere, gli irrigò la gola e fu come se l’avesse riportato in vita, spingendolo però subito dopo a desiderarne altra.
«Te ne prendo ancora.» lo rassicurò Cody, dirigendosi verso una cassa posizionata contro una parete. La sollevò ed estrasse una pillola trasparente. «Devi aver fatto molta strada. Dove sei atterrato?»
L’uomo lo guardò in maniera interrogativa, mentre l’altro schiacciava la pillola tra le dita e la buttava nella coppa. Subito questa si riempì fino all’orlo della freschissima bevanda trasparente.
«È solo acqua compressa, perché mi guardi così? Sembra quasi che tu non mi conosca.»
Tra un sorso e l’altro, sempre con voce leggermente rauca a causa della disidratazione, il nuovo arrivato tentò di dare qualche spiegazione. «Mi sono risvegliato poco tempo fa in mezzo a questo deserto roccioso e non ricordo nulla, nemmeno il mio nome. Ho camminato a lungo prima di imbattermi nella tua tenda, e ho scoperto che questa tuta simile ad una seconda pelle, mi proteggeva dalla calura esterna. È solo grazie ad essa se sono giunto fin qui ancora vivo.»
«Dannazione, questo è proprio un bel problema. Non ti piacerà quello che ho da dirti.» affermò Cody, grattandosi il mento.
«Perché…» dei forti colpi di tosse lo costrinsero a fermarsi. «Perché non cominci col dirmi il mio nome?»
«Certo, hai ragione. Liam, ti chiami Liam Wilkins.»
Liam sussurrò il suo nome più volte, come se dovesse abituarsi ad esso. Mentre lo faceva, osservò la superficie trasparente davanti a lui e per la prima volta vide la sua immagine riflessa. I suoi capelli, lunghi e lisci, erano di colore castano chiaro, così come gli occhi, mentre una barbetta ispida gli copriva la parte inferiore del volto. Notò di avere un naso ben delineato, gli venne da pensare quasi perfetto, e in generale ogni componente del suo volto sembrava in armonia con il resto.
«Liam mi piace. Prima di sapere altro vorrei chiederti qualcosa da mangiare. Non credo che resisterò ancora a lungo.»
«Naturalmente.» rispose Cody, tirando fuori dalla cassa una barretta. «Ecco, mangia questa. Equivale a un intero pasto.»
Liam la prese dubbioso, passandosela più volte da una mano all’altra.
«Fidati di me, ti sazierà.» lo rassicurò l’altro, sorridendo.
L’uomo dunque si portò il cibo alla bocca e diede un primo morso. Il sapore non era affatto male, ricordava vagamente le fragole, anche se non sapeva come faceva lui a richiamare alla mente quel gusto. Per quanto riguardava la consistenza rimase più che soddisfatto, sentiva le energie che tornavano dopo ogni boccone, e lo stomaco che si riempiva sempre di più.
Notando la sua espressione, Cody annuì compiaciuto. «Te l’avevo detto.»
Anche Liam annuì. Non era ancora sicuro di potersi fidare dell’uomo, ma per ora non aveva altra scelta, perché lui aveva bisogno di nutrirsi e tutto il sostentamento a disposizione era in quella capanna.
«Ti ringrazio per il pasto.»
«Di certo non avrei potuto lasciarti là fuori a morire, e poi potremmo aiutarci a vicenda. Quando sarai pronto, sono disposto a spiegarti ogni cosa.»
«TI ascolto.»
«D’accordo. Sappi che la realtà che ti ritroverai a fronteggiare sarà molto dura, cerca di essere forte.» lo avvertì Cody, assumendo un’espressione preoccupata, come se stesse guardando un familiare a cui doveva essere comunicata la morte di un proprio caro.
«Ti ascolto.» ripeté con determinazione Liam.
«Il nostro pianeta natale è la Terra, questo invece è Centaur-1, un mondo a milioni di anni luce di distanza. Io, te e altri quindici uomini, facevamo parte dell’equipaggio spedito qui con il compito di piazzare e attivare i macchinari terraformanti che avrebbero trasformato questo ambiente in uno del tutto simile a quello terrestre. Purtroppo c’è stato un guasto poco prima dell’atterraggio, i motori sono andati e noi siamo finiti in questa landa desolata senza cibo né acqua. La nave è distrutta, le comunicazioni con la base sono interrotte, e di conseguenza non abbiamo modo di tornare indietro. Tutto quello in cui possiamo sperare è che allestiscano una missione di recupero, ma avendo già investito svariati miliardi di dollari in questa, per dipiù dovendo fronteggiare un’ampia schiera di oppositori, sarei propenso a credere che a casa ci abbiano già dichiarato eroi della patria e impresso i nostri nomi su qualche libro scolastico sotto la voce “fallimenti del governo Rubbio”. La cassa e la tenda sono tutto ciò che sono riuscito a salvare.»
Adesso Liam respirava a fatica, era come se l’aria non volesse entrare nei polmoni. Tutto ciò che l’aveva spinto a camminare, a cercare cibo e acqua anche quando non aveva più forze per alzarsi, non esisteva. Ogni speranza era vana, sarebbe morto lì in qualsiasi caso. Cody si accorse che il suo ospite aveva difficoltà respiratorie e gli si avvicinò mettendogli una mano sulla spalla.
«Sta calmo amico, agitarsi non è d’aiuto.»
Lui lo fissò con gli occhi sgranati. «Calmo? Come cazzo faccio a stare calmo, mi hai appena detto che siamo praticamente morti! Che faremo quando finiranno l’acqua e il cibo? O puoi tirare fuori da quella cassa un numero infinito di pillole? No, io non credo proprio che…»
Lo schiaffo lo colpì forte e senza preavviso. Si toccò il punto dove aveva subito l’impatto e poi guardò esterrefatto l’altro.
«Ma che cazzo fai?» urlò con voce ormai intermittente dopo lo sforzo a cui aveva sottoposto le sue corde vocali.
«Ti aiuto a riprenderti. Ti avevo detto che poteva essere devastante, ti capisco, ma adesso controllati. Lì c’è abbastanza cibo per sopravvivere qualche altro mese, forse un anno se lo razioniamo bene, nel frattempo si vedrà. Se ci si presenterà qualche opportunità, la coglieremo.» disse Cody con fermezza.
«Altrimenti?»
«Inutile pensarci adesso.»
Il silenzio discese nella tenda. Cody decise di dare a Liam il tempo di assimilare il tutto, forse questo l’avrebbe aiutato a farsene una ragione, ma l’uomo non sembrava riuscirci. Continuava a picchiettare nervosamente le dita contro le ginocchia, fino a quando si alzò e cominciò a percorrere ossessivamente la superficie disponibile avanti e indietro. Una miriade di domande gli affollava la mente, e pur di distogliere l’attenzione dal fatto che il suo destino era segnato, gli diede voce.
«Da quanto tempo sei in questa tenda?» domandò.
Cody cominciò a contare sollevando un dito alla volta, fermandosi sulla punta dell’anulare. «Ho contato all’incirca quattro settimane, ma non ne sono sicuro. Ti sarai sicuramente accorto che qui le giornate durano più a lungo.»
«Com’è possibile che tu sia qui già da quattro settimane se io mi sono risvegliato al massimo un giorno fa?»
Cody spalancò le braccia e scosse leggermente la testa. «Non ne ho idea. Lo schianto è avvenuto appunto un mese fa più o meno, e da allora mi sono accampato qui con le poche cose che sono riuscito a salvare. È probabile che tu abbia fatto lo stesso, e una volta terminate le provviste ti sia messo in viaggio. Poi devi aver subito un qualche tipo di trauma che ti ha fatto perdere la memoria. Questa è la mia ipotesi.»
Liam non era affatto convinto di quella versione, troppi elementi non gli tornavano. Si fermò nel mezzo della tenda e lo squadrò mentre se ne stava lì seduto, con una risposta pronta per ogni sua domanda.
«E dove si trovano i rottami della nave? E gli altri membri dell’equipaggio?»
«È un interrogatorio?» replicò Cody con tono di sfida.
«Voglio solo vederci chiaro.»
«Esistono dei meccanismi di espulsione appositi per queste situazioni. Sono capsule a misura d’uomo che grazie ad un sistema di propulsione, vengono spedite a chilometri di distanza dalla nave in procinto di schiantarsi, per evitare le onde d’urto dovute all’impatto. Come puoi immaginare la zona di atterraggio è interamente dovuta al caso, perciò non saprei proprio dire dove siano finiti gli altri o se siano ancora vivi. Io nella mia capsula sono riuscito ad infilare la tenda e la cassa, più o meno tutto ciò che ora vedi davanti ai tuoi occhi. Soddisfatto?»
Liam rimase in silenzio, quasi deluso per non aver trovato nulla di sospetto. Sperava che ci fosse qualcosa che l’uomo gli stesse nascondendo, qualunque cosa che gli permettesse di chiamarlo bugiardo e di screditare la sua teoria dell’abbandono su un mondo sconosciuto. Ma non era così, Cody aveva ragione, erano soli e dimenticati, e tutto quello che potevano fare era provare a sopravvivere.
Liam si sdraiò a terra con un’espressione sconsolata dipinta in volto e chiuse gli occhi. «Ora vorrei provare a dormire un po’.»
«Ottima idea. A breve il sole di questo pianeta dovrebbe cominciare a calare.»
«Non hai mai pensato di cercare gli altri?» mormorò Liam qualche minuto dopo.
Cody annuì, anche se l’altro non lo vide. «I primi giorni ho provato ad effettuare qualche ricerca, sempre mantenendo la stessa direzione per poter essere in grado di ritornare alla tenda, ma non ho rinvenuto segni di alcun tipo. Evidentemente anche tu dovevi essere abbastanza distante, altrimenti ti avrei avvistato in una delle mie esplorazioni.»
«Già.» rispose Liam, che si trovava in uno stato tra sonno e veglia.
Cody non disse più nulla, permettendo al suo compagno di abbandonarsi completamente alla stanchezza e di passare dal mondo reale a quello onirico. L’unico rumore udibile era quello del vento che soffiava contro le pareti della tenda, facendole sbatacchiare con una certa ritmicità.
Liam si sentiva bruciare, come se fosse immerso in un enorme calderone pieno di lava, e guardando verso se stesso si rese conto di essersi trasformato in una palla di fuoco. Era lanciato ad una velocità spropositata verso un suolo roccioso e lasciava dietro di se una scia luminosa. Voleva frenare, rallentare in qualche modo, ma non aveva nessun mezzo per farlo, poteva solo attendere lo schianto che si avvicinava inesorabilmente. Terrore puro gli scorreva nelle vene, provò a gridare ma come risultato ottenne solo di aumentare la sua già incredibile spinta. Era ormai questione di secondi, non più di cinque, quattro, tre, due, uno…
Si svegliò di soprassalto con il cuore che gli batteva all’impazzata. Tese le braccia davanti al corpo come a proteggersi da qualcosa, fino a che non realizzò di non essere veramente in pericolo. Solo allora cominciò a tranquillizzarsi e le sue pulsazioni tornarono ad un ritmo regolare. Guardandosi intorno si accorse di essere da solo, Cody doveva essere uscito. Stava per avviarsi fuori alla sua ricerca quando invece pensò di mangiare un’altra di quelle barrette così consistenti. E poi all’esterno era tutto buio, nessun tipo di luce lunare, quindi non sarebbe riuscito a distinguere nulla, figuriamoci una sagoma umana. All’interno invece una grossa torcia illuminava tutto l’ambiente. Così si avvicinò alla cassa che conteneva le provviste e provò a sollevarne il coperchio, che però non si mosse di un millimetro. Pensò che si dovesse essere incastrato, quindi ritentò con più forza ottenendo lo stesso risultato. L’unica spiegazione era che il suo proprietario l’avesse bloccato con qualche meccanismo che a lui era sfuggito. Perché farlo, si chiedeva. Di certo non sarebbe arrivato lontano tirandosi dietro una cassa così pesante in quel deserto roccioso, quindi non c’era il rischio di venire derubato. Oltretutto si domandava dove potesse essere finito a quell’ora. Ignorando per il momento la cosa, tastò con le dita il bordo della superficie superiore in cerca di interruttori o di qualsiasi cosa servisse a sollevarla. Sul retro avvertì un rigonfiamento, quindi spostò la cassa e osservò con i propri occhi di cosa si trattasse. Era una mezza sfera rossa incastonata nel bordo, un oggetto che la mente di Liam associò subito ad una definizione, lettore d’impronte digitali.
«Merda!» esclamò.
Con un sistema di sicurezza di quel genere sarebbe stato impossibile aprirla, a meno che non l’avesse distrutta. Ma lui non intendeva farsi scoprire dal suo compagno di viaggio, quindi non aveva nessuna soluzione. Passò comunque il pollice destro sul lettore più per frustrazione che per altro, motivo per il quale quel singolo clic che sentì lo lasciò a bocca aperta. Il coperchio ebbe un leggero scatto e si sollevò di pochi centimetri. Superato lo stupore iniziale, si disse che con ogni probabilità il lettore si era danneggiato durante l’espulsione e qualsiasi impronta digitale sarebbe stata in grado di aprirlo. Un bel colpo di fortuna.
Prese il coperchio con entrambe le mani e lo tirò su completamente, curioso di scoprire da sé quante provviste ci fossero realmente. Tuttavia non era minimante preparato alla vista che gli si presentò.
Un avambraccio tagliato di netto sistemato su una gamba tagliata in due. Altre parti del corpo ordinatamente posizionate l’una sull’altra e perfettamente conservate dalla bassa temperatura di quella cassa frigorifera. Le pillole che Cody gli aveva offerto, si trovavano in due scatole poste in un piccolo comparto laterale. Liam provò un tale orrore che lasciò ricadere il coperchio pesantemente, voltandosi immediatamente per paura che il forte rumore avesse attirato Cody. Ma all’esterno era ancora tutto immobile, nessun segno dell’altro sopravvissuto.
Del cannibale.
Non era vero dunque il fatto che non avesse trovato nessuno. Dentro la cassa dovevano esserci almeno due corpi, quasi sicuramente si trattava dei membri della missione che erano atterrati con lui su quel pianeta. Resosi conto che non avrebbe potuto sopravvivere con le poche pillole rimaste, quell’animale di Cody doveva aver deciso che mangiare carne umana era diventato moralmente accettabile. Questi pensieri si rincorrevano ancora nella mente di Liam quando l’assassino fece ritorno nella tenda. Il fruscio che produsse il telo lo avvertì dell’arrivo, e Liam si girò rapidamente trovandosi di fronte il volto sorridente di Cody. Malgrado il tentativo da parte dell’ospite di nascondere il nervosismo e il timore, l’omicida si accorse che qualcosa turbava l’altro.
«Tutto bene?» chiese sospettoso.
«S-sì…sì.» si affrettò a rispondere Liam.
Cody si grattò il mento con aria pensierosa. «Non si direbbe. Ancora preoccupato per la nostre triste sorte?»
L’altro annuì vigorosamente, felice che la scappatoia gli fosse stata offerta proprio dal suo interlocutore. «Già. Ho provato a smettere di pensarci ma è una cosa troppo grossa, continua a sopraffarmi.»
Un silenzio assoluto cadde sui due, come se Cody stesse analizzando le risposte di Liam e ne stesse stabilendo la veridicità, e quest’ultimo fosse in spasmodica attesa del suo verdetto di vita o di morte. Trascorsi una decina di secondi, sul volto del cannibale tornò il sorriso, e posò il braccio destro sulla spalla del suo ospite, come a voler esprimere solidarietà, anche se Liam lo vide più come un allevatore che controllava di quanto fosse ingrassato il suo maiale.
«Insieme proveremo a sopravvivere. Ho molta fiducia.»
«Proverò ad averne anche io.» replicò l’altro con un sorriso appena abbozzato.
«Dove sei stato?» chiese subito dopo, decidendo di mostrarsi più in linea col suo comportamento precedente per evitare di destare sospetti.
«Sono andato a fare un giro per sgranchirmi le gambe. Non avevo molto sonno.»
«Capisco.»
Mentre tentava di intrattenere una conversazione, Liam faceva lavorare febbrilmente il suo cervello per trovare il modo di fuggire da quella tenda degli orrori. Pensò che l’assassino dovesse essere armato in quel momento, qualcosa di molto tagliente visto lo stato dei due corpi nella cassa. Quindi non poteva semplicemente sfidarlo in un corpo a corpo, doveva usare l’astuzia. La cosa più importante era posizionarsi tra l’ingresso della tenda e Cody, in modo da mettersi in una situazione di vantaggio per uno scatto improvviso. Una volta fuori sarebbe stato abbastanza semplice sfuggirgli nel buio pesto di quella landa desolata.
«Che ne dici di berci un altro bicchiere d’acqua? Ho la gola un po’ secca.» mentì Liam, nella speranza di far spostare il cannibale dall’ingresso della tenda.
Ma quello scosse la testa. «Ricordati che dobbiamo razionarla. È l’unica che ci rimane.»
«Possiamo dividerne una a metà. Non credo che una compressa in meno sia un grosso problema.»
«Fidati di me che me la sono cavata finora.»
Mangiando carne umana, schifoso animale, pensò Liam. Quell’immagine gli provocò una sensazione di nausea tale che gli traballarono le ginocchia. L’altro notò l’accaduto.
«Qualcosa non va?»
Liam scosse la testa. Doveva trovare il modo di andarsene in fretta, cominciava a sospettare che l’assassino stesse giocando con lui prima di affondargli il coltello nel cuore. Decise quindi di provare con la noncuranza, facendo finta di voler andare a respirare un po’ d’aria notturna. Si avviò a piccoli passi verso l’uscita, e quando si trovò spalla a spalla con l’altro uomo sentì che quello gli sussurrò all’orecchio una frase.
«Entrambi sappiamo che non uscirai mai più da questa tenda.»
Per un tempo che fu inferiore a un secondo, Liam rimase come paralizzato, incapace di effettuare il minimo movimento. Poi si voltò a guardare Cody negli occhi e vide un’altra persona, totalmente diversa rispetto a quella che aveva mostrato il proprio volto in precedenza. Un sorriso ampio, troppo ampio, distorto, si estendeva sulla sua faccia conferendogli un’aria sinistra, e quegli occhi spalancati alla loro massima ampiezza parevano voler fuoriuscire dalle orbite. Era come se avesse effettuato una muta.
Quando vide il braccio destro dell’assassino scattare, Liam fece istintivamente un balzo indietro, cosa che gli permise di schivare il lungo pugnale affilato che altrimenti avrebbe sparso sul terreno le sue budella.
«È un peccato, sai? Avrei voluto ucciderti stanotte, nel sonno, in modo che non te ne saresti neanche accorto. Invece dovremo seguire la strada più dolorosa.» affermò, anche se la sua espressione diceva il contrario. Si stava divertendo.
«Sei un fottuto cannibale! Uno psicopatico del cazzo!» gli gridò con tutto il fiato che aveva in gola Liam.
Cody si risentì per quelle accuse, e il sorriso si tramutò in un ringhio. «Che altra scelta avevo? Morire di fame? Il più forte sopravvive, sto solo mettendo in atto la più importante delle leggi naturali.»
«Ci credi davvero? Quelli erano esseri umani, come me e te! Avresti dovuto aiutarli, morire con loro, non mangiarteli!»
Il folle sorriso tornò a illuminare di pazzia il viso dell’assassino. «Abbiamo parlato anche troppo.»
Di slancio provò ad affondare il coltello nella pancia dell’avversario, ma la rapidità di quest’ultimo gli consentì di riportare solo un taglio alla mano sinistra. Tuttavia Cody non gli diede un attimo di tregua, e subito si lanciò nuovamente all’attacco, questa volta mirando al collo. Liam non era certo un esperto di arti marziali, ma con prontezza di riflessi riuscì ad afferrare il polso del nemico e a bloccarlo pochi centimetri prima che la lama recidesse la sua giugulare. Stava lottando con tutte le sue forze per respingere quella mano assassina, ma dalla posizione scomoda in cui si trovava, semisdraiato sulla cassa frigorifera, il compito era piuttosto arduo.
«Arrenditi!» ansimava Cody. «Tu non hai la forza per sopravvivere. Io sì!»
Liam era al limite, il pugnale si avvicinava sempre di più, e non era sicuro che sarebbe riuscito a uscire da quella situazione. Inoltre le ultime parole del suo assalitore avevano avuto un certo effetto. È risaputa la credenza che negli ultimi istanti di vita scorrano davanti agli occhi i momenti più importanti della propria esistenza, ma forse a causa della sua amnesia, Liam riusciva a visualizzare solo il possibile futuro. Se fosse riuscito a salvarsi, avrebbe dovuto uccidere l’altro sopravvissuto, e alla fine nutrirsi della carne degli altri due astronauti conservata nella cassa frigorifera. Si sarebbe trasformato nell’uomo da cui stava cercando di sfuggire. E per cosa? Per poter sopravvivere qualche altro mese? Per posticipare una morte annunciata? No, si disse, non si sarebbe lasciato corrompere proprio in procinto di dover dire addio a quel mondo, sarebbe rimasto fedele ai suoi principi. Avrebbe fatto la scelta più coraggiosa. Sarebbe rimasto un uomo giusto.
«Non rinuncerò alla mia moralità proprio adesso.» riuscì a dire.
Poi strinse saldamente il polso che fino a quel momento aveva cercato di respingere, e con un grido liberatorio lo tirò a sé. Il sangue schizzò fuori dalla ferita sporcando il volto stupefatto dell’assassino, che proprio non si aspettava una conclusione del genere. Un lugubre gorgoglio fuoriuscì dalla gola di Liam per qualche secondo, cessando contemporaneamente al battito del suo cuore. La fuoriuscita di sangue invece non accennava ad arrestarsi, mentre Cody rimaneva fermo a fissare il coltello infilato completamente nella gola della sua vittima, come fosse una statua. Si riscosse dopo alcuni istanti, estraendo l’arma che permise ad un flusso ancora maggiore di liquido di riversarsi all’esterno. Guardandosi, il cannibale si rese conto di essersi sporcato parecchio, cosa che sarebbe stata un problema nei giorni successivi, visto che non poteva certo lavare i propri panni. Decise che se ne sarebbe occupato successivamente.
«Però, questo tizio ha avuto davvero fegato. Buon per lui che è morto credendo nelle sue convinzioni. Buon per me invece, che ho aumentato la mia riserva di carne!» esclamò soddisfatto, incurante di aver appena messo fine ad un’altra vita umana, completamente perso nel suo delirio di follia e sopravvivenza, in cui tutto era consentito.
Trascinò il cadavere all’esterno della tenda, ritornò dentro a prendere la torcia, posizionò quest’ultima in modo da illuminare il posto che aveva scelto, e con il suo affilato coltello si mise a lavoro per spezzettare la sua ultima preda e far in modo che entrasse nella cassa frigorifera.
«È una buona notte per fare il macellaio.»

3 commenti:

  1. Complimenti!
    Mi è sempre piaciuto molto il connubio ambientazione fantascientifica + atmosfera ansiogena.
    Il mood del racconto mi ha fatto pensare a Philip K. Dick. Lo conosci?

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  2. Grazie!
    Solo di nome, purtroppo non ho mai letto nulla di suo.

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  3. Se ti capita sotto mano, consigliatissimo "Labirinto di morte"

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